
ISABELLA DUCROT: L’ARTE DEL TESSUTO TRA RICERCA E MEDITAZIONE POETICA
| di Maria Rosaria Roseo |
Isabella Ducrot, nata a Napoli e residente da anni a Roma, ha sviluppato un percorso artistico singolare a partire dalla sua passione per i tessuti antichi. Attraverso numerosi viaggi dalla Russia all’Estremo Oriente, ha collezionato stoffe pregiate che sono diventate il fulcro della sua ricerca e produzione artistica. Le opere di Ducrot hanno trovato spazio in importanti istituzioni, tra cui la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, il Museo Archeologico di Napoli, la Biennale di Venezia e prestigiose sedi internazionali come Berlino, Parigi e New York.
Elemento centrale del suo lavoro è il concetto di ripetizione, spesso rappresentato dalla forma rotonda, motivo che l’artista iniziò ad esplorare in occasione di una visita ad un museo di Istanbul, dove rimase colpita dalla bellezza di un antico tappeto decorato con sfere rosse disposte in sequenza regolare.
Questa esperienza la indusse a riflettere sul potenziale estetico del decoro e sul pregiudizio, tutto occidentale, che per secoli ha relegato il decorativo all’ambito delle arti applicate, considerate minori. In quell’occasione, la decorazione assunse un ruolo di primo piano nella sua ricerca.

L’interesse per le tradizioni tessili orientali ha avuto una profonda influenza sul lavoro di Isabella Ducrot. In Occidente, l’arte figurativa è spesso legata alla narrazione storica, mentre in Oriente l’arte si distingue per il suo carattere contemplativo, celebrando un tempo rallentato. Questo approccio ha ispirato la sua esplorazione artistica e portato alla creazione di opere d’arte che evocano una dimensione di riflessione e meditazione.

Il rapporto di Isabella Ducrot con i tessuti ha avuto origine nei mercati orientali, dove ha iniziato a collezionare stoffe diverse da quelle consuete. Per l’artista, collezionare significa convivere con gli oggetti, toccarli, studiarne le tecniche e comprendere le differenze di tessitura. Nel tempo, il suo interesse si è concentrato su tessuti apparentemente semplici, ma realizzati con straordinaria maestria artigianale, al punto da rendere difficile distinguere tra cotone, lana o seta.
Una delle sue opere più significative, “Turban”, presentata alla Galleriske di Delhi nel 2014, consiste in un vero turbante il cui srotolamento lungo una intera parete ne altera la percezione. Questo trattamento permette di coglierne la leggerezza e la struttura raffinata, mettendo in evidenza il suo destino di avvolgersi, in un vortice di gesti, intorno al capo di chi lo indossa.
La lunghezza di diciotto metri si traduce in una presenza che oscilla tra la concretezza materica e l’evanescenza simbolica.

Nel 2008, nella sua personale “Variazioni” presso Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, l’artista ha esposto una serie di ritratti di compositori realizzati in olio e pastello su carta intelata, collage di carta, plastica e tessuti turchi ricamati. L’ispirazione è nata dall’incontro, in un mercato dell’Anatolia, con fazzoletti ricamati che le contadine esponevano nelle feste come parte del corredo. I ricami di questi panni usati come paramenti sembrarono all’artista molto interessanti, liberi dai canoni decorativi tradizionali, con ardimenti addirittura picassiani.
In quel periodo Ducrot stava leggendo “La danza di Natascia” di Orlando Figes, che racconta degli interrogativi che si ponevano gli artisti russi agli inizi del novecento, visitando villaggi lontani dalle loro città per ascoltare canzoni e conoscere nuovi strumenti musicali, traendo ispirazione per nuove composizioni. Così ebbero accesso nelle sale di concerto, nei teatri e nei salotti occidentali le musiche d’avanguardia che trovarono, poco a poco il consenso del pubblico. I quadri della personale, rappresentano il tentativo di Isabella Ducrot di omaggiare questi famosi geni musicali ritraendo i loro volti e mostrando allo stesso tempo, lo straordinario lavoro eseguito da donne di cui non sapremo mai il nome ed evidenziare il loro destino di anonimato.

Un altro progetto significativo è rappresentato da “Bende Sacre“, una mostra svoltasi presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma, basata su fasce rituali tibetane acquistate a Lhasa. Questi tessuti, irrigiditi dalla pasta di riso, erano in realtà oggetti votivi destinati a coprire le spalle delle statue sacre. Considerandone l’eccezionale valore storico e spirituale, Ducrot ha scelto di integrarli nella sua opera, preservandone il carattere sacro e l’aura di unicità.

Isabella Ducrot è anche autrice di numerosi testi e saggi nati dallo studio e dall’interesse per la storia dei tessuti, sempre al centro delle opere pittoriche e dei lavori dell’artista. In una delle sue pubblicazioni più recenti, “La stoffa a quadri“, Ducrot descrive l’incontro con il celebre trittico dell’Annunciazione di Simone Martini: “L’Annunciazione mi parve subito un enigma quando, molti anni fa, durante una visita agli Uffizi, mi fermai a osservare il grande quadro”.

Partendo dalla fascinazione per l’enigmatico lembo della fodera del mantello dell’angelo, una vistosa stoffa a quadri, Ducrot avvia una riflessione sull’uso simbolico di questo motivo tessile nella storia dell’arte, una ricerca che si sviluppa come un’indagine sulle valenze estetiche e concettuali di un elemento domestico capace di evocare significati astratti.
Isabella Ducrot ci offre una visione artistica che intreccia storia, estetica e spiritualità. La sua ricerca si muove tra il valore del decorativo, l’importanza della materia e il potere evocativo del tessuto, trasformandolo in un linguaggio universale, poetico, capace di raccontare il tempo e le culture.



