Artiste e artisti

CHRISTELLE JEANNE LACOMBE: L’ARTE DI INTRECCIARE FILI E PAROLE

| di Barbara Pavan |

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Christelle Jeanne Lacombe vive e lavora a Parigi, dove da più di due decenni unisce la sua esperienza in psicoanalisi e il suo impegno artistico. Diplomata all’École Supérieure des Arts Appliqués Duperré di Parigi, ha studiato arteterapia con una specializzazione nelle Arti plastiche. Queste discipline intrecciate alimentano il suo singolare approccio all’arte, dove la fibra tessile diventa il supporto di una riflessione profonda, cercando di accogliere i paradossi della vita psichica.

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Psicoanalista in studio privato da vent’anni e di giorno operatrice in ospedale per adolescenti, esplora con attenzione i linguaggi artistici che risuonano con le dimensioni terapeutiche e umane. L’universo tessile, con le sue trame e simbolismi, costituisce il cuore della sua pratica artistica.


Le sue opere hanno trovato un’eco internazionale attraverso una serie di mostre significative. Tra queste, la  partecipazione alla Fiber Arts Australian Biennale (2025-2026) e al Toronto Art Salon 2024, rappresentata dalla Galleria COA, dimostrano la portata universale del suo lavoro. In Italia, ha esposto al Museo del Tessuto e della Tradizione Industriale di Busto Arsizio in una mostra intitolata I Segreti del Blu, nonché a Perugia nella mostra collettiva Logos presso la Galleria SCD Studio. A Montréal, le sue opere sono state esposte dalla Galleria COA e durante la Fiera Plural, confermando la sua capacità di dialogare con scene artistiche differenti.

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È stata a selezionata per la mostra internazionale che celebra il centenario di Janina Monkute-Marks presso il Museo d’Arte Regionale di Kédainiai in Lituania. Il suo lavoro è stato incluso in Appunti su questo tempo – Biennale internazionale di fiber art contemporanea – tenutasi al MuRTAC, Museo della Ricamo e del Tessuto Antico e Contemporaneo di Valtopina e a CasermArcheologica di Sansepolcro, in Toscana (2022-2023), con un catalogo pubblicato da ArteMorbida. Il suo percorso italiano include anche la selezione per Paratissima Talents a Torino.


Christelle Lacombe è arrivata al ricamo come mezzo di espressione artistica relativamente tardi, solo nel corso dell’ultima decade. Il suo cammino verso il lavoro tessile si è costruito progressivamente, influenzato da diversi aspetti della sua vita e della sua professione – di artista e di psicoterapeuta per adolescenti. «Sono stati gli adolescenti che usano la mediazione tessile – afferma – a mostrarmi la via di questa forma di espressione.»


Spiega: «Nel mio lavoro con gli adolescenti, ci impegniamo insieme in un processo lungo, una sorta di cammino segnato da parole e da gesti. Il gesto tesse, ricama, come la parola che fila e vaga al ritmo lento dell’opera.» Così, cucendo, assemblando, tagliando il tessuto, prende forma un’opera tessile. Questo processo rappresenta una sorta di emergenza o di transizione, un tentativo di radicare l’essere nell’esperienza sensoriale. Le texture e i gesti inerenti al lavoro di cucitura sembrano creare confini, ancorando sia il corpo che il mondo, punto dopo punto, permettendo così a questi elementi di generare piccole rivoluzioni, di segnare gli spazi con iscrizioni tracciate dalla mano.


Questi incontri hanno progressivamente orientato il suo lavoro di creazione verso il tessile, sostenuto da un profondo interesse per le questioni che legano il corpo al linguaggio. Il suo processo creativo si nutre di molteplici fili: ceramica, incisione e tessile. Inizialmente ha esplorato la ceramica e il tessile in una ricerca di finzioni di corpi e ha giocato con la leggerezza e la flessibilità del volume. L’elasticità del tessuto le ha permesso di dissolvere le convenzioni di una grammatica figurativa, creando forme senza figure, senza idee, senza intelligenza.

Parallelamente, Lacombe ha esplorato anche la tecnica della stampa, con la trama, le anse e i nodi che sono diventati come scritture sulle lastre di rame e linoleum. Evoca i ricordi d’infanzia in cui lavorava a maglia dei “ritornelli”, con sua madre, esperta in cucito e ferri, che le diceva: “Ma che cosa stai ricamando, figlia mia… Non ha né capo né coda”, mentre lei era immersa nel lavoro. In questo contesto, il ricamo diventa una metafora comunemente utilizzata nel linguaggio popolare per indicare la creazione di finzioni o di storie. Sin dal Medioevo, il ricamo era infatti una tecnica perfezionata per ornare tessuti e decorare arazzi che mettevano in scena storie vere.

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Per Lacombe, la creazione di finzioni tramite il tessile è simile a ciò che fa un poeta: creare spazio per il significato, permettendo che l’atto creativo risuoni con un senso. «Fissare il filo della finzione è una necessità per fare margine al non-senso, per stare lontano dalle fissità menzognere del significato. È una condizione essenziale affinché la lettera compia il suo lavoro di taglio, di svolta, di presa e di distacco. La lettera può diventare carne, a condizione che cammini.»


Uno degli elementi più riconoscibili del lavoro di Lacombe è una pseudo-scrittura densa ricamata in blu, segni grafici che evocano una scrittura corsiva fluida e veloce, senza significato esplicito o leggibile. Lacombe spiega che l’essere, abitato dal linguaggio, ne è travolto: portatore di una parola che viene da lui, lo sovverte e lo raggiunge, come parole trasportate nelle vene. Aggiunge: «Le radici etimologiche che sottendono la vicinanza fonologica dei termini ‘testo’ e ‘tessile’ legano per sempre la nozione di testo al campo lessicale del tessile, e lavorano sull’inconscio degli autori come un’ossessione, a volte addirittura come una verità troppo presto convalidata dalla ragione.»

Lacombe fa riferimento alle parole di Derrida, secondo cui l’essenza di un testo risiede nella dissimulazione della disposizione, dell’organizzazione e della combinazione dei fili che lo compongono. Continua spiegando che l’architettura, l’ordinamento e la struttura sono preoccupazioni per dare forma a questi corpi fittizi del testo, non solo per sfuggire alle voracità del comprendere, ma anche per placare gli eccessi del corpo che creano terre sterili. L’artista considera la macchina da cucire quasi come una macchina da scrivere, a volte pigra, a volte impaziente. La scrittura corsiva, per lei, è una scrittura che accoglie il corpo, la sua energia, il suo movimento, la sua incertezza, la sua esitazione e la sua urgenza di depositare un atto su un supporto. Rifacendosi a Lacan in Encore, nota che la scrittura è una traccia dove si può leggere un effetto del linguaggio, proprio come uno “scarabocchio” diventa l’inizio di ciò che si ha da dire. Questa scrittura, che chiama “la lingua piccola”, disegna sementi che si spargono sulle superfici vergini del tessile. «Occupo una posizione di scriba in questo lavoro in cui le lettere corsive sono un modo per far riemergere in superficie la lingua piccola», spiega Lacombe. L’opposizione al senso diventa per lei una condizione che permette di creare un’imperfezione rispetto alla meccanica quasi perfetta del ritmo della macchina da cucire. In questa meccanica, fa emergere l’insufficienza, gli errori, il bollore, la saturazione, i sospesi, la fessura, la voragine — necessità affinché la lingua giochi e crei spazi decentrati.


Il ricamo, con la sua lentezza, pazienza e ripetitività, si avvicina a un esercizio quasi zen. Lacombe ne riconosce la componente terapeutica e catartica: «Il gesto ripetitivo si esegue sotto una forte spinta da cui devo lasciare emergere l’incontrollato, pur contenendolo. È un gesto che mi riguarda e mi colloca in uno spazio.» I fili liberi nei suoi ricami non sono solo una scelta tecnica o estetica, ma portano anche un significato. Lacombe vede questi fili come resti, tracce di ciò che non è finito, una condizione necessaria affinché il lavoro continui. Materializzano la piccola caduta. «In giapponese, si chiama tempo tutto ciò che lascia traccia. Il tempo e il luogo sono congiunti, la traccia ne diventa il sito.»

Attualmente, prosegue il suo lavoro di finzione attorno alle lettere, continuando a esplorare grafismi di colori vicini alle tracce infantili. «Ricamo grafismi vicini al disturbo delle tracce d’infanzia», afferma. Sviluppa anche la sua ricerca sulle trame in ceramica, dove questi lavori si rispondono, perché «non ci sono tracce che solcano senza un tessuto iniziale». La sua pratica si fonda su un minimo di significati, articolato attorno all’incrocio della catena e della trama, della verticalità e dell’orizzontalità. Spiega che l’arte del tessitore è stata utilizzata metaforicamente nei miti greco-romani come uno strumento per districare le faccende complesse, al fine di creare una tela armoniosa, unita, degna di rivestire la grande Dea dell’Olimpo.

Lacombe lavora in piccoli interstizi di tempo, ogni volta che le è possibile. Questi spazi le offrono la libertà di non forzare troppo, di garantire che il filo continui a vagabondare. Cita una consuetudine degli Indiani Navaho che consiglia una certa moderazione nella pratica del tessuto, suggerendo addirittura di lasciare il lavoro incompleto, con un’apertura lasciata da qualche parte. «Sono le condizioni che permettono di differenziare e di articolare una forma del corpo e un fondo.»

Attraverso il ricamo e l’arte tessile, Christelle Lacombe intreccia non solo pezzi fisici ma anche strati complessi di significati, mescolando linguaggio, corpo e materia in una narrazione in continua evoluzione.


Bibliografia

Jacques Derrida, La Dissémination, Le Seuil 1972

Jacques Lacan, Encore, 1975, St-Amand, Le Seuil, p110, au sujet du texte Litteraterre et de la nuée du langage qui fait écriture. Lacan dans Encore, le 15 mai 1973 dit : « L’écriture est une trace où se lit un effet de langage. Quand vous gribouillez quelque chose, et moi aussi, je ne m’en prive certes pas, c’est avec ça que je prépare ce que j’ai à dire. Et c’est remarquable qu’il faille, de l’écriture, s’assurer.»

John Scheid, Jesper Svenbro, Le métier de Zeus, Mythe du tissage et du tissu dans le monde grec-romain, Éditions Errance

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