
SONIA PISCICELLI IZN
| di Barbara Pavan |
Sonia Piscicelli IZN (Napoli 1968) intraprende inizialmente un percorso di studi in giurisprudenza che sembra preludere a una carriera nel campo legale. Tuttavia, presto decide di prendersi un anno sabbatico, durante il quale lavora presso uno studio di produzione televisiva e collabora con la compagnia teatrale “Libera scuola d’arte”. Nel 1989 si trasferisce a Roma per frequentare l’Istituto Europeo di Design, sostenendosi con lavori stagionali in Val Gardena. Consegue il diploma di Art Director e Grafica Progettista, iniziando un’intensa carriera nel settore, per poi approdare nel 2000, con il progetto Interzona, a una dimensione artistica più personale legata al web design, alla fotografia e alla pittura.
Nel 2005 si avvicina alla ceramica e nello stesso anno, durante un soggiorno a Berlino, entra in contatto per la prima volta con l’embroidery art, un’esperienza che resterà latente fino a trasformarsi nel suo linguaggio espressivo quasi un decennio dopo. Nel 2008, fonda “Il Pasto Nudo” per promuovere il consumo consapevole e recuperare antiche conoscenze legate al cibo e all’agricoltura, sostenendo i piccoli produttori italiani e sensibilizzando sulle distorsioni del mercato alimentare. È però solo nel 2016 che il ricamo emerge come la sua vocazione artistica definitiva, soppiantando ogni altra attività, diventando il fulcro della sua pratica, un medium che incarna lentezza, ritualità e consolazione.

Piscicelli riscopre un legame ancestrale con il gesto, forse ereditato dalle nonne sarte, benché non avesse mai ricamato prima. Inizia casualmente e la memoria del suo incontro berlinese riaffiora. La prima prova, un semplice ricamo sulle cifre del tovagliolo della figlia, la spinge a perfezionarsi con l’aiuto di una ricamatrice. Da allora, questa tecnica diventa per lei una forma d’arte meditativa, capace di farle pensare, progettare, cambiare, disfare e ricominciare, offrendo infinite seconde opportunità. La scelta di materiali naturali e di recupero, come fili e tessuti, sottolinea la sostenibilità e l’essenza ecologica del suo lavoro. Il tessuto, già di per sé intreccio di storie, dialoga con il filo del ricamo per creare nuove narrazioni.
Il suo percorso artistico si manifesta inizialmente attraverso opere come La Nuvola e Vento (2018), realizzate su grandi asciugamani di lino del corredo. Le nuvole, un motivo ricorrente nei suoi disegni fin dall’infanzia, diventano simbolo di qualcosa di incombente ma benevolo, un’energia che fluisce e trasforma. Questo tema traduce una tensione tra sogno e realtà, tra la dimensione immaginaria e la necessità di mantenere un contatto con la terra. Nelle sue opere, l’acqua, l’aria, la forma e la materia si fondono in un equilibrio poetico. Il suo linguaggio evolve da tonalità neutre e increspature leggere a colori più assertivi, riflettendo un dialogo interiore tra il desiderio di mostrarsi e la necessità di nascondersi.


Una svolta cruciale avviene per lei con un’opera carica di significato personale e memoria quando ricama sul grembiule che usava durante il suo lavoro di cameriera, Piscicelli affronta l’elaborazione di un aborto e trasforma il dolore in un’opera intima, un riflesso della tensione tra custodire e manifestare.
Con il tempo, le sue creazioni si arricchiscono di una nuova dimensione attraverso le scatole: inizialmente nate come protezioni per i ricami, esse diventano contenitori simbolici, proiezioni del suo essere sospeso tra vulnerabilità ed esposizione. Questi scrigni richiamano gli altari da viaggio e i breviari, offrendo una dimensione catartica e preziosa. La scatola, insieme all’uso di materiali di recupero, evoca il passato e la necessità di custodire memorie.
In una fase più recente esplora la tridimensionalità realizzando una grande nuvola ricamata che incombe su due alberi minuscoli, giocando con trasparenze e colori pastello per rappresentare il rapporto tra natura e umanità. Gli eventi naturali, apparentemente minacciosi, diventano protettivi, richiamando l’idea di accettazione e adattamento. Il velo rosso che copre l’immagine, un simbolo di paura, si dissolve per rivelare la bellezza di una realtà accolta nella sua essenza autentica.
La dicotomia tra natura e cultura e le diverse declinazioni della loro coesistenza sono al centro anche delle sue ultime opere di cui abbiamo chiesto all’artista stessa di raccontarci.


Alla Biennale Internazionale di Fiber Art di Valtopina, hai presentato un’installazione ispirata al dibattito attuale sullo specismo e sulla visione antropocentrica del pianeta e degli esseri viventi che lo abitano. Mi racconti di più sull’opera? E come si collega questa ricerca al tuo percorso artistico precedente, ad esempio all’esperienza del PASTO NUDO o di Interzona?
Sono nata in un contesto cittadino, per quanto particolare come Napoli, ma ho sempre avvertito una forte connessione con l’ecosistema, e l’urgenza di ritrovare il rapporto simbiotico e di mutuo vantaggio che in un tempo non troppo lontano avevamo con esso. L’arte è una potente ispirazione al cambiamento e all’azione, attraverso un’infinita varietà di emozioni e sensazioni anche estremamente diverse tra loro, come il disagio, la bellezza, la rabbia, l’ironia e così via.
Nel lavoro che ho esposto al MuRTAC di Valtopina, “Pax Humana”, ho pensato di infondere alcune caratteristiche prettamente umane al mondo animale e vegetale, mostrando attraverso la presunzione di un piccione, la megalomania di un ratto talpa, o la tracotanza di una mantide religiosa, autoincoronatisi re e regine di un territorio, definito dai colori della bandiera della pace, quanto siano buffe e ridicole le nostre pretese di “migliorare” l’ambiente, apportando quasi sempre delle modifiche che non hanno alcuna attenzione al “come” ma solo al “cosa”, come fertilizzanti chimici che gonfiano le piante di acqua fino quasi a farle esplodere, rendendole insapori e distruggendo la fertilità della terra nella quale crescono, o pretendendo vantaggi di ogni tipo dalla fauna che popola il pianeta senza alcun rispetto per i suoi bisogni, per la sua vita e per la vita in generale. Ho amato molto l’idea di mostrare tutto questo attraverso bandiere ritagliate da antiche lenzuola di cotone, che per mesi hanno sventolato davanti all’ingresso del Museo, esposte al vento e alle intemperie, ma sempre tenacemente insistenti nella loro fierezza.
Tutto ciò che ho fatto nella mia vita, in particolare con il “Pasto Nudo”, un’associazione non profit per il consumo consapevole, ma anche con Interzona, lo studio grafico che ho fondato e che ancora lavora, è stato in un certo senso l’abbrivio di un appassionante percorso esplorativo di possibilità negate, di spazi nascosti o ignorati, di strade sbarrate perché difficili da percorrere in un mondo che tende a scegliere sempre la via facile e veloce. Questa strada ha avuto il suo sbocco naturale nell’arte, che proprio di direzioni divergenti si occupa, e in particolare nell’arte del ricamo contemporaneo, la più ecologica e rispettosa forma d’arte a mio parere, perché può avere un impatto ambientale bassissimo se si hanno determinate attenzioni, come l’utilizzo esclusivo di tessuti e fili naturali, e di materiali di recupero.
Attualmente stai lavorando a un progetto a quattro mani che si concentra sul tema della periferia, unendo fotografia e ricamo. Come è nato questo progetto? Di cosa si tratta e quali significati intende trasmettere? Quali analogie o punti di incontro rintracciabili tra le tecniche del ricamo e quelle della fotografia? Come dialogano e si intersecano nel processo creativo?
Negli ultimi mesi mi sono dedicata molto al ricamo su stampe cartacee e fotografiche; la tecnica di ricamo è piuttosto diversa, ancora più lenta di quella sul tessuto, perché bisogna fare una grande attenzione a non rovinare la carta; cose che con il tessuto sono facilmente rimediabili, con la carta, soprattutto quella fotografica, sono letali! Adoro lavorare su qualcosa di preesistente, in particolare mi piace molto il fatto di collaborare con altri artisti, altre emotività, altri intenti, come nel caso di “Entanglement”, il progetto a cui fai riferimento e su cui sto lavorando adesso, che parte dagli scatti fotografici di un fotografo napoletano che vive a Roma, Pasquale Liguori, che ho sempre trovato molto affini al mio sentire.
Le sue fotografie, realizzate con un banco ottico alle 5 del mattino della domenica, al momento della massima concentrazione delle persone negli edifici, che riposano nel giorno di pausa dal lavoro, ritraggono le Borgate romane ufficiali, abitazioni costruite in epoca fascista destinate ai ceti più poveri e al sottoproletariato.
Ciò che inizialmente mi ha colpita delle sue immagini è la sensazione che mi restituiscono di pace, di calma, che inconsuetamente per me, non proviene da un ambiente naturale boschivo o marino, ma da edifici molto severi e squadrati, che non riesco a smettere di contemplare. Queste costruzioni modulari, permeate da un rigore quasi tossico, che tende a rendere tutto uguale, sono rese pulsanti e vitali dalla presenza umana, dall’individualità che si fonde nella collettività, dalla correlazione quantistica, in base alla quale lo stato energetico di ogni esistenza, fisica e non, dipende istantaneamente dallo stato delle altre esistenze. Da qui il nome che ho dato al progetto, “Entanglement”, che Einstein definiva “un’inquietante azione a distanza”.
Trovo questo concetto veramente basilare; credo che solo abbracciando questa realtà invisibile ma più presente di ciò che è visibile, potremo fare un passo avanti decisivo verso il rispetto di chi e di ciò che ci circonda; solo capendo che gli esseri viventi e gli stessi oggetti fanno in senso quantico parte di noi stessi, che ogni azione intrapresa verso o contro qualcosa o qualcuno è un’azione intrapresa verso o contro noi stessi, solo capendo questo potremmo trasformarci in una società volta all’evoluzione e alla convivenza pacifica con il tutto. L’accettazione di ciò che è, l’abbandono della terrificante mania di controllo che impera nel nostro tempo.
Sonia Piscicelli Izn ha all’attivo partecipazioni a progetti espositivi nazionali ed internazionali. Tra i più recenti (2024), la Biennale internazionale di fiber art contemporanea “Radici, Metamorfosi, Mescolanze” presso il MuRTAC Museo del Ricamo e del Tessile di Valtopina e la mostra internazionale “Verba Creant” presso la Biblioteca Ernesto Balducci a Barberino di Mugello per The Europe Challenge promosso da European Cultural Foundation; “Logos” collettiva a SCD Textile&Art Studio di Perugia e “Animals” presso lo spazio multidisciplinare La Dama di Capestrano, AQ. Nel 2023, il suo percorso artistico si è articolato attraverso una pluralità di eventi da “XS Project” – una mostra itinerante che è stata proposta a BAF Bergamo, Galleria d’Arte Tessile Contemporanea Gina Morandini a Maniago e a Studio B49 di Roma – a “Naturales Quaestiones. La Cura” al Castello Malaspina Dal Verme a Bobbio. Selezionata per la mostra internazionale “Unclassifiable” alla Sala delle Pietre a Todi, promosso da Artout. Un suo lavoro è stato incluso in “Appunti su questo tempo”, a CasermArcheologica, Sansepolcro. L’artista tiene un blog aggiornato: https://artlab.interzona.it/

